Chiara - La mia Storia con l'EHE
Mi chiamo Chiara e convivo con l’EHE da quando ero solo una bambina.
Ballavo fin da quando avevo tre anni. Il mio sogno era diventare ballerina professionista. Ma una sera, durante una prova, caddi a terra per un dolore fortissimo alla gamba. Rimasi paralizzata per ore. Quella notte fu l’inizio della fine del mio sogno. Mi dissero che avevo una massa alla vena femorale. Subii un intervento lunghissimo, sperimentale, durato sette ore. Mi salvarono la gamba con un trapianto di vena: il primo caso in Italia. Quel giorno mi salvarono la vita.
La mia vita cambiò all’improvviso, senza preavviso. E per molto tempo nessuno mi disse davvero cosa avessi. Fui io a scoprirlo, una sera, cercando una maglietta nell’armadio di mia madre. Mi cadde addosso una cartella con il mio nome. La aprii. C’erano tanti fogli, ma uno mi colpì più degli altri:
“Tumore raro.”

Da quel momento, la mia infanzia diventò un susseguirsi di ospedali, controlli, flebo, punture. Ogni tre mesi dovevo andare a Milano. Mi svegliavo alle cinque del mattino per fare le punture, e poi andavo a scuola con dolori forti e costanti. Indossavo calze contenitive che si notavano sotto i vestiti. Nessuno capiva davvero cosa stessi passando. Cercavo di sembrare normale, ma dentro stavo crollando.
A 17 anni, durante un controllo, mi dissero che avevo delle masse al fegato. Ricordo quel momento come se una campana di vetro mi fosse calata addosso. Sentivo solo silenzio. Avevo già sofferto tanto, ma quella notizia mi devastò. Piangevo in silenzio, mi chiudevo, mi sentivo di nuovo in trappola.
Non volevo parlare con nessuno, non uscivo più di casa. Un giorno parlai con una mia amica, che rimase scioccata dalla notizia; ne parlò con un suo amico che, senza conoscermi, venne sotto casa mia. Fu l’unico a riuscire a farmi uscire. Quell’estate conobbi tante persone grazie a lui, e vissi esperienze che non avrei mai pensato di poter vivere. Mi fece capire che forse essere “diversa” non era poi così brutto. Un giorno mi disse che questa cosa mi faceva vedere il mondo da un’altra prospettiva.
Grazie a lui, tutto cambiò.

Negli anni ho affrontato altri interventi. Nel 2019 mi hanno tolto una massa al collo e, durante lo stesso intervento, anche altre alla gamba, a sei anni di distanza dal primo alla vena femorale. Sempre dolori, visite, ansia. Avevo imparato ad ascoltare il mio corpo e a leggere i suoi segnali prima ancora degli esami. Perché noi Pazienti rari impariamo presto a riconoscere quello che non va.
Nel 2023, dopo dieci anni di controlli e sei mesi di pausa, sentii una fitta al fegato: era una massa di 2 cm. Nel gennaio del 2024, dopo nuovi controlli a Milano, sono stata operata di nuovo, questa volta per una resezione epatica. È stato un intervento lungo e complesso, ma io ero diversa. Avevo scelto di non affrontare tutto da sola. Mi ero fatta aiutare da una psicologa, avevo accettato il mio bisogno di sostegno e avevo deciso di entrare in ospedale con la consapevolezza che non ero più solo un corpo da curare, ma una persona da proteggere.
Mi sono portata foto, lucine, peluche. Ho riempito la mia stanza di luce. Era il mio modo di resistere, di dire:
“Io ci sono, e voglio vivere tutto questo con dignità, amore e coraggio.”
Ho capito che noi Pazienti abbiamo bisogno del nostro spazio: ci sono momenti in cui desideriamo mille abbracci, ma anche momenti in cui abbiamo bisogno di silenzio. Ed è giusto così. Anche il silenzio può curare.
Quando sei piccolo hai tanti sogni, ma con una diagnosi del genere tutto può cambiare in un attimo. Col tempo ti arrendi a questa realtà, ma capisci anche che c’è qualcosa in più.
Dopo il secondo intervento, infatti, al mio risveglio, chiesi a mia madre un foglio e una matita. Disegnai una balena avvolta da fiori. Non avevo mai disegnato prima. Quel disegno fu la mia rinascita.
Da allora ho scoperto il mio talento: l’arte.
Ho iniziato uno studio sulle mani: ne disegnavo tantissime, tutte diverse per stile e forma. Con il tempo, la psicologa mi fece notare che quelle erano le mani di chi mi aveva salvata: medici, infermieri, persone che mi avevano aiutata. Il significato della balena è la rinascita, quindi è stato davvero un segno averla disegnata appena sveglia.
Questo percorso mi ha portata a ciò che sono oggi: illustratrice e fumettista, diplomata, e sto proseguendo gli studi per diventare insegnante di storia dell’arte. Il sogno della danza si è trasformato in un altro sogno, diverso ma profondamente mio.
La malattia mi ha fatto scoprire qual era il mio dono. È diventato il mio modo di comunicare.
E l’arte mi ha fatto incontrare anche l’amore: la persona che oggi è il mio compagno di vita, e che un giorno sarà mio marito. Anche lui ha la mia stessa passione.

Oggi la forza la trovo negli occhi e nell’amore di chi ho attorno.
Perché da soli, è tutto più difficile.

E in tutto questo, EHE Italia è stata fondamentale.
Per anni mi sono sentita sola. Cercavo online, ma non trovavo nulla. Finché un giorno ho scoperto un piccolo gruppo su Facebook. E lì, per la prima volta, ho trovato qualcuno come me. Una donna mi scrisse:
“Tranquilla, andrà tutto bene.”
Quelle parole, semplici ma vere, mi hanno dato respiro.
EHE Italia non è solo un’associazione. È una luce nel buio.
Con loro ho potuto finalmente parlare, sfogarmi, raccontare la mia storia senza vergogna. Loro mi hanno capita, sostenuta, incoraggiata. E oggi, grazie a loro, ho trovato il coraggio di raccontare la mia storia ad alta voce.
Convivo con tante conseguenze della malattia: dolori, limitazioni, cicatrici visibili e invisibili. Ma oggi non ho più paura.
E se la mia voce può aiutare anche solo una persona a sentirsi meno sola, allora ogni parola è preziosa.
La mia vita è cambiata tante volte. Ma oggi so chi sono, so da dove vengo, e so dove voglio andare.
E, soprattutto, so che non sono più sola.
“Dall’altra parte, oltre la diagnosi, c’è una vita meravigliosa che vale la pena vivere.”
— Chiara
